TRIBUNALE DI PALERMO 
 
    In composizione monocratica nella persona della dott.ssa Maria La
Scala, ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Premesso che con decreto di citazione a giudizio del  18  ottobre
2017 veniva tratto a  giudizio  S.  A.,  per  rispondere  davanti  il
Tribunale di Palermo, del reato p. e p. di cui all'art.  590-bis  c1,
c5 n. 2 c.p.. 
    All'udienza del 13 giugno 2019 il difensore di fiducia munito  di
procura speciale -  avv.  Stefano  Santoro  del  Foro  di  Palermo  -
richiedeva  la  sospensione  del  processo  con  messa   alla   prova
dell'imputato, depositando istanza di MAP. 
    Alla  successiva  udienza  il   Tribunale   pur   ritenendo   che
sussistessero le condizioni per  l'applicazione  dell'Istituto  della
messa alla prova dell'imputato reputava opportuno prima di  ammettere
l'imputato all'Istituto procedere all'audizione della persona offesa,
la quale dissentiva e chiedeva che  nei  confronti  dell'imputato  si
procedesse  con  un  procedimento  ordinario  e   la   chiamata   del
responsabile civile. 
    Il giudice rilevato che  l'imputato  rifiutava  qualsiasi  azione
risarcitoria in favore della persona offesa, tenuto conto  del  fatto
che questa aveva subito delle lesioni gravi e non aveva  avuto  alcun
ristoro, rigettava la richiesta di definizione del giudizio con messa
alla prova e disponeva  che  il  giudizio  proseguisse  con  il  rito
ordinario.   Preso   atto   del   rigetto   il   difensore   eccepiva
l'incompatibilita' del giudice adito  ed  eccepiva  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art.  34,  comma  2  del  codice  di
procedura penale nella parte in cui  non  prevedeva  in  questi  casi
l'incompatibilita' del giudice  che  si  era  pronunciato  anche  nel
merito. 
    Il Tribunale si riservava ed all'odierna udienza, rilevato che la
medesima questione e' stata proposta dal  Tribunale  in  composizione
monocratica   di   Spoleto   tuttora   pendente   presso   la   Corte
costituzionale, sulla quale la  Corte  ancora  non  si  e'  espressa,
ritiene manifestamente fondata la questione sollevata  dal  difensore
nell'applicazione della norma dettata  dall'art.  34  del  codice  di
procedura penale in rapporto all'istituto della messa alla prova. 
    Il giudice nel momento in cui gli viene richiesta  l'applicazione
dell'istituto della messa alla prova deve preliminarmente valutare  i
presupposti della colpevolezza in tutti i suoi elementi  costitutivi:
deve tener conto  della  gravita'  del  reato  e  della  capacita'  a
delinquere dell'imputato. Il giudice compie un ampio accertamento sul
fatto contestato al prevenuto e sulla persona  stessa  dell'imputato.
La decisione del giudice non puo' pertanto  essere  qualificata  come
puramente procedurale anzi nel caso di  rigetto  della  richiesta  di
messa alla prova la pronuncia assume una valutazione di merito  sulla
fondatezza  dell'impianto  accusatorio,   potendosi   paragonare   al
procedimento di applicazione concordata della pena su richiesta delle
parti. 
    Alla luce  di  cio'  il  giudice  diventa  incompatibile  con  il
proseguo  del  giudizio  ponendosi  seri  dubbi  sulla   legittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 2 del codice di procedura  penale,
verrebbero violati l'art. 3  della  Costituzione  per  disparita'  di
trattamento  in  situazioni  analoghe  e  fondamentalmente   verrebbe
violato l'art. 24, comma 2 della Costituzione che inerisce il diritto
di difesa riconosciuto a tutti i cittadini, contravvenendo  a  quanto
statuito nell'art. 111, comma  2  della  Costituzione  in  quanto  il
processo si svolgerebbe dinanzi il giudice che ha gia' espresso delle
valutazioni   negative   sull'imputato    con    la    compromissione
dell'imparzialita' e terzieta' dello stesso.